Une jeunesse allemande - Panorama

 

Quando è stato annunciato il programma di quest’anno e fra i film selezionati per la sezione Panorama è risultato il film di Jean Gabriel Périot, quarantenne documentarista francese, sulla scena extraparlamentare tedesca e sulla RAF, la prima reazione è stata: cosa avrà mai di nuovo da raccontare il buon Périot per essere accolto nel programma del festival di Berlino, la rassegna in qualche misura titolare della sovranità nazionale tedesca su un argomento che è stato trattato da ogni possibile punto di vista, con ogni possibile modalità, con quella documentaristica, fin dai tempi di Germania in autunno, in posizione assolutamente dominante. Non saranno mica gli highlights ad uso del pubblico francese? Che so io: Rudi Dutschke che alza il pugno sulla tomba di Holger Meins (novembre 1974), l’uccisione di Benno Ohnesorg in occasione delle manifestazioni di protesta per la visita dello Scià di Persia (2 giugno 1967), la cattura dei terroristi, il rapimento Schleyer, Mogadiscio e Stammheim, tutte cose viste e riviste nei documentari e nei film di finzione che si sono succeduti – anche a Berlino – negli ultimi quarant’anni? C’è anche questo – soprattutto verso la fine - nel documentario di Périot, ma c’è molto, molto altro. La messe di materiale inedito che Périot è riuscito a rintracciare è semplicemente sensazionale, d’altra parte il regista ha lavorato per otto anni a questo documentario. Non c’è archivio tv o radio che il regista non abbia sondato, scoprendo dentro scatole con etichette false, documenti rari o addirittura ritenuti scomparsi. I documenti sono giornalistici, con una larga predominanza di quelli che vedono protagonista Ulrike Meinhof, nella fase in cui lavorava per “Konkret”, il mensile amburghese diretto dal marito, e nei talk show televisivi era l’unica donna ed era l’unica esponente di estrema sinistra tollerata fra gli ospiti; poi c’è una quantità incredibile di materiali sperimentali provenienti dai giovani cineasti iscritti (fra i quali Harun Farocki, e Holger Meins) alla DFFB, la scuola di cinema di Berlino Ovest, fondata nel 1966 con un solenne discorso di Willy Brandt, alcune cose si conoscevano, ma per esempio un corto con protagonista Gudrun Ensslin non crediamo che sia mai stato visto. Altro materiale cui viene dato molto rilievo è quello politico-giuridico, e qui a fare la parte del leone è Horst Mahler, l’avvocato dall’opposizione extra-parlamentare, egli stesso fiancheggiatore della RAF, chi ha visto Germania in Autunno, ricorderà la lunga intervista ivi contenuta. Forse non tutti sanno che Mahler - ormai ha quasi ottant’anni - è diventato adesso un neonazi.

La narrazione a cui conduce questo materiale non è clamorosamente innovativa, va detto, Périot si limita di fatto a ribadire ciò che già sapevamo: da un lato la repressione feroce da parte dell’autorità tedesca (stato, polizia, giornali filo-governativi del gruppo Springer), la permanenza di dinamiche repressive parafasciste ha ben presto trasformato una gioventù solo ribelle in una gioventù estremista che alla fine trova nella scelta del terrorismo l’unica possibile via d’uscita. Dall’altro fin dall’inizio le avanguardie estetiche e quelle politiche si sono sfiorate. E il film si conclude con il dialogo fra Faßbinder e la madre contenuto in Germania in autunno, ricongiungendosi con il testo fondante della cinematografia sulla RAF. Il regista ha dichiarato che quando anni addietro aveva visto quel film, soprattutto quel dialogo molte cose non le aveva capite. E ha girato questo bel documentario per comprenderle.

 

Matteo Galli
Close-Up
8 febbraio 2015